Questo volume, pubblicato all’indomani degli attentati terroristici al World Trade Center di New York, è un tentativo degli psicoanalisti e psicoterapeuti junghiani e freudiani di applicare la nostra disciplina alle minacce alla vita causate dalla guerra e dalla violenza terroristica. Non è semplicemente un libro basato sulle testimonianze di questo evento traumatico, ma merita di essere considerato un vero e proprio libro di consultazione. Ne fanno parte sia contributi scritti appositamente dopo l’11 settembre, sia riflessioni classiche sulla guerra e la violenza, come il carteggio fra Freud e Einstein sulla guerra, lo scambio epistolare intercorso nel 1949 tra Jung e Dorothy Thompson sullo stato del mondo o l’appello appassionato di Anna Segal a vincere le proprie difese schizoidi individuali e collettive di fronte alla presa di coscienza del rischio di annientamento totale costituito dalle armi nucleari.
Per gli psicoanalisti, in verità, è estremamente difficile accostare le teorie metapsicologiche e cliniche sviluppate all’interno dello studio dell’analista alla sfera collettiva. Non esiste disciplina più incentrata sull’individuo della psicoanalisi, e le sfere collettive e quelle individuali, infatti, sono antinomiche.
È possibile utilizzare la teoria psicoanalitica per comprendere i fenomeni collettivi senza distorcere né l’una né l’altra sfera? È forse compito degli psicoanalisti portare i problemi della collettività sul lettino?
Esiste invece la necessità di comprendere la violenza dal punto di vista delle scoperte della psicoanalisi. Solo la psicoanalisi, infatti, è in grado di sviluppare quegli strumenti teorici e clinici che possano mediare tra la realtà sociale e la vita interiore dell’uomo e i processi inconsci che sono implicati nell’innescarsi e nello sviluppo della violenza. Questo libro è un esempio di come questo difficile compito possa essere realizzato.
Dalla prefazione di Carole Beebe Tarantelli