Resisti bambina mia e… resistimi. Lo so che è difficile. Credimi, io vorrei trovare una strada che ci liberi, ma catene troppo pesanti legano i miei pensieri e macerano le possibilità. Eppure… sto tentando ancora di farcela, ci sto mettendo tutta la forza che non ho mai osato usare. Forse ce la farò e se ce la farò sarà solo per te. Per nessun altro mai sarei tornata indietro a ricercare e raccattare i cocci che ho perso. Per nessun altro avrei trovato il coraggio di riaprire ferite già chiuse. Solo per te. Perché tu viva, tu rida. Perchè tu sia di nuovo libera anche se, ancora una volta, la tua libertà contrasterà la mia.
Daniela Lucatti sceglie una strada antica, quella della narrazione, lasciando agire dall’interno la sua conoscenza e la sua esperienza clinica in campo psicologico. L’amalgama tra i due livelli di scrittura si compie miracolosamente, perché è già avvenuto dentro l’anima dell’autrice: tutte le storie delle donne, inclusa la propria, diventano una storia sola, che riguarda tutte le donne e che non è solo quella di un evento – l’abuso, il maltrattamento – ma quella di una relazione, la relazione fondante della vita, quella tra madre e figlia, e poi ancora madre e figlia, e ancora avanti nella catena dell’esistenza. Due, tra i tanti, sono i pregi del libro da sottolineare. Uno è la scelta non convenzionale del linguaggio che arriva subito, diretto, dalle vicende narrate ai sensi, alle emozioni, ai pensieri di chi legge. L’altro merito è la presenza dell’arte di fare psiche, fare anima, senza darlo a vedere, senza cadere nei tanti psicologismi delle varie scuole, mantenendo l’equilibrio tra i vari aspetti di ogni vicenda: la donna protagonista, la madre, i figli, altre figure, tra cui ovviamente l’uomo, ma soprattutto la scintilla di vita e di speranza che nonostante tutto scocca a un certo punto, nel rapporto solidale tra donne e nel riconoscimento di una comune sofferenza. Là dove si è originata la ferita, là si potrà curare.