Siamo e resteremo nel labirinto.
Il labirinto non è luogo dal quale si possa uscire
e non possiamo attenderci nulla da fuori,
meno che mai la nostra «salvezza».
Il compito, il senso della vita e di quell’aspetto essenziale
della vita umana che è la cultura è lavorare insieme,
nel dialogo e nel rispetto reciproci, nel rigore analitico,
nell’assenza di dogmi messianici,
affinché la condizione nel labirinto,
che è la condizione umana,
sia resa progressivamente più sopportabile,
meno ingiusta.
G. Zagrebelsky
Il racconto si muove tra spunti autobiografici e osservazioni che, attraverso l’esperienza psicologico analitica, hanno indotto l’autore a formulare rilievi critici e ad avanzare un sistema articolato di idee e di proposte futuribili.
Due linee distinte ma interconnesse caratterizzano questa narrazione: il dialogo psichico interno e quello operativo con il pubblico, quando la finestra della stanza di lavoro si spalanca sul mondo in un’interazione continua con gli apporti terapeutici e i confronti istituzionali.
Ricordi preziosi, a volte intimi, indicano le pietre miliari dello sviluppo della psicologia analitica in Italia. Bernhard, quindi, per non citare ancora Jung, e l’istituzione dell’AIPA, i protagonisti dei primi anni e le inevitabili scissioni; l’arrivo del ’68, del gioco della sabbia, di Hillman; contatti con i freudiani; scuole, statuti, regolamenti…
L’autore è un testimone che, guardando il gruppo analitico da fuori, si interroga sulla propria appartenenza, sul senso profondo del suo operare, sul fatto che prendersi cura significa più di ogni altra cosa coinvolgere l’altro nella ricerca di conoscenza in un afflato emotivo.
Fatti, riflessioni e intuizioni si compongono in un disegno narrativo racchiuso nella rigorosa cornice della psicoanalisi che ne costituisce oggetto, contenitore e contenuto.