L’arte emerge dalla gioia e dal dolore.
Maggiormente dal dolore
Edvard Munch
La creatività artistica è una via tra le più elettive tramite cui il vissuto inconscio, prevalentemente traumatico, può essere percepito dalla coscienza. In tal modo l’opera d’arte dona senso e lenimento al dolore interiore, pur senza farlo scomparire. E genera, in chi la pratichi sotto questa profonda spinta, l’insopprimibile bisogno di dedicarsi ad essa instancabilmente.
La biografia di Edvard Munch, tormentata almeno quanto affascinante, si svela ancor più essere il continuo tentativo di offrire, attraverso l’atto del dipingere, volto e soluzione a ferite della mente. E attesta anche l’impossibilità effettiva – tramite il solo medium artistico – di riuscire a sanarle definitivamente.
Ne deriva che l’opera pittorica di Munch – trattandosi di un artista con difficoltà interiori e relazionali di notevole spessore, ma anche dotato di straordinario talento – configura, rendendoli manifesti, molteplici vissuti e fantasmi della mente. Costellazioni di senso esteticamente e cognitivamente pregnanti che permettono perciò di riconoscere modalità e meccanismi che in misura diversa, e in varie forme, abitano l’interiorità di chiunque.
In tale ottica, individuando i moti interiori che nell’opera di Munch sono divenuti evidenti, è possibile comprendere perché a molte persone sembri, in questi dipinti, di rinvenire qualcosa di proprio: qualcosa che anche in loro grida inseguendo una voce e una forma.
Ecco dunque perché l’opera di Munch «spiega» la mente: rende più evidente l’inspiegabile, il conflittuale da cui ogni mente muove nella costruzione di se stessa e dell’intera esistenza.