Figura chiave e al tempo stesso molto controversa della psicologia analitica, Michael Fordham una volta ha parlato di sé come dell’«unico junghiano interessato ai bambini». La peculiarità più stupefacente della vita di Fordham sta nel fatto che il suo divenire analista junghiano è stato tutt’uno con la propria autorealizzazione. «Ho la netta sensazione che il corso della mia vita fosse predeterminato, malgrado il mio scetticismo per le affermazioni dal sapore magico». La sua scelta professionale, scaturita da nient’altro che dal profondo sentire di dover seguire quella strada, è stata una ricerca che è proseguita per tutto il corso della sua esistenza, costituendone il tema dominante. «Posso ipotizzare che la mia teoria del Sé infantile abbia avuto origine nel corso dell’allattamento al seno, riflessa nell’onnipotente fantasia di essere al centro del mondo, elaborata quando mi trovavo seduto tra le braccia di mia madre presso il nodo ferroviario di Clapham». In questa autobiografia Fordham ricorda la sua infanzia, la sua formazione come medico e le prime esperienze in un ospedale psichiatrico. Descrive con franchezza la sua battaglia contro la tendenza alla nascita di un culto della persona di Jung e affronta il suo interesse per lo studio del Sé nell’infanzia, periodo dello sviluppo a suo parere trascurato dalla scuola junghiana. Il volume include memorabili ritratti di Jung, interessanti descrizioni delle comunità junghiane negli Stati Uniti e un vivace quadro della psicoterapia britannica. Negli ultimi anni di vita Fordham si è dedicato alle osservazioni del rapporto madre-bambino effettuate nella Clinica Tavistock, un’esperienza descritta qui come rivelatrice ed emotivamente coinvolgente.