Adesso che facciamo me lo dici?
Come scaldiamo i fusti e le radici
dal gelo che è arrivato fino al cuore,
da questa neve che non ha colore?
Sei fuggita da questo inverno iroso
in un letargo troppo doloroso:
lo so che non ti svegli in primavera…
«L’aranciata amara non è un’aranciata qualsiasi. Me lo ha insegnato mia madre, una domenica umida e dedicata a lei.
Mia madre la beveva con sapienza, lentamente, aspirandola con una cannuccia colorata che ne mitigava l’effervescenza fino a renderla sopportabile, come bevesse l’amarezza della vita in cambio di un retrogusto dolce, ma non troppo: “giusto”, direbbe lei».
Nel silenzio della madre per sempre addormentata, si leva la voce della figlia a riportare in vita asperità e dolcezze, tempeste e bonacce, momenti teneri o tragici della loro storia.
Si compone un’esplorazione personale, eppure universale, in cui ogni lettore può trovare una parte di sé e delle proprie esperienze di perdita. Il viaggio si compie con mezzi diversi: la prosa di apertura lascia spazio alla poesia, alla ritmica di emozioni affidate a parole leggere, capaci di condurci senza cupezza attraverso i paesaggi più estremi.
Pietà e spietatezza si rincorrono nei versi dell’Autrice, nell’incessante andirivieni tra la verità dei sentimenti del presente e del passato, fino a raggiungere la consolazione della gratitudine, fino a ritrovare la sorgente del senso di continuità della propria esistenza.
«Adesso tocca a me bere l’aranciata amara della nostra storia e del mio lutto, lentamente, finché svuotata la mia lattina mi resti soltanto un retrogusto dolce. Mia madre sarebbe contenta. Le sono grata per avermi insegnato tante cose importanti e per avermi mostrato, sia pure involontariamente, che la morte è solo un gran sonno. L’ho capito con tutti i miei sensi, vedendola per sempre addormentata».